Il vino “dell’indovino”, mantis-eos, questa è probabilmente l’etimologia greca da cui deriva il nome Mantonico che richiama le sue origini antiche e mistiche. Un vino dalle proprietà profetiche per gli indovini e i sacerdoti della Locri Epizefiri, usato per rituali sacri ed esoterici.

In passato, però, le sue doti enologiche sono state messe in ombra e le uve di Mantonico furono destinate alle tavole dei paesi del Nord Europa e usate in pasticceria per la dolcezza della polpa dei suoi acini.

Per le sue caratteristiche morfologiche e organolettiche, fino a non molto tempo fa il Mantonico è stato confuso con altre varietà, come il Trebbiano e il conterraneo Greco Bianco. Dopo diverse analisi e confronti genetici, solo nel 2014 è riuscito ad ottenere il riconoscimento ufficiale con l’iscrizione nel Registro Nazionale della Vite e dell’Uva.

La sua culla d’origine, la costa ionica calabrese, è rimasta la sua terra d’elezione, dove le vigne trovano nutrimento nei terreni argillosi-calcarei della zona.

Il Mantonico viene usato, soprattutto, in assemblaggio con altre varietà autoctone e per la produzione di vini passiti. Più difficile e rara è, invece, la vinificazione in purezza, sperimentata da alcune aziende anche con pratiche di affinamento sui lieviti e evoluzioni in legno.

Efeso Val di Neto Bianco IGT Calabria 2016 di Librandi è un eccellente risultato di questo “esperimento”.

Il nome di fantasia del vino forse ha un legame con le origini del Mantonico e ci conduce nell’antica colonia greca dell’Anatolia (oggi città turca), fiorente polo commerciale marittimo e sede del Tempio di Artemide, una delle sette meraviglie del mondo antico dove si svolgevano culti sacri in onore della Dea della caccia e dei campi coltivati.

Vinificazione e note di degustazione

L’Azienda ha voluto testare la struttura e le capacità evolutive di questo vino con una fermentazione direttamente in barrique cui segue, sempre in botte, un affinamento sui lieviti per circa 8 mesi e un’ulteriore sosta in bottiglia, prima della messa in commercio, di almeno un anno.

Come anticipato, il risultato è davvero ottimo e la degustazione stimolante sotto ogni profilo sensoriale.

Alla vista il colore è di un giallo oro brillante e vivace; da una leggera rotazione del calice si percepisce già la corposità del vino.

Il naso è invaso da note profumate di piccoli fiori gialli come la ginestra e bianchi come il gelsomino, accompagnati da sentori di polpa di pera matura, pappa reale e sfumature minerali.

In bocca si avverte una piacevole consistenza tattile, corpo e rotondità, con un buon equilibrio tra sapidità e acidità che attenuano il calore del sorso.

Il finale salmastro persistente e delicato, con rimandi fruttati e note citrine ben si accompagna ai sapori freschi e intensi di un piatto di paccheri con baccalà e pomodorini pachino.

È la conferma che un vino bianco può avere delle evoluzioni sorprendenti grazie alle caratteristiche intrinseche del vitigno e alle abilità umane in vinificazione.

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