Il vino passito è un vino che, come si evince dal nome, si ottiene dai chicchi d’uva sottoposti ad appassimento. Tale processo può avvenire mediante due tecniche: in maniera naturale, sulla pianta, oppure dopo la vendemmia, su graticci o stuoie posizionati all’aria aperta, o in ambienti predisposti come fruttai, dove temperatura e umidità sono mantenute in maniera costante e controllata.

Il risultato è il medesimo: il chicco d’uva si disidrata, perdendo quasi del tutto l’acqua mentre aumenta la concentrazione di zuccheri. Si ottiene così un vino dolce, dal sapore avvolgente e delicato, estremamente aromatico.

In misura minore esistono anche vini passiti secchi. La tecnica per ottenerli è la stessa, ciò che cambia è la fermentazione del mosto: mentre nel vino passito dolce viene bloccata, nel caso dei passiti secchi la fermentazione continua a fare il suo corso, dando come risultato una concentrazione di zucchero ridotta ed una gradazione alcolica superiore. Due ottimi esempi sono l’Amarone della Valpolicella DOCG e lo Sforzato di Valtellina DOCG, entrambi ottenuti da uve nere.

Prima di entrare nello specifico riguardo al vino passito, cos’è e come si fa, non può mancare una descrizione estetica di questa eccellenza dalle origini antiche.

I vini passiti bianchi hanno tendenzialmente un colore giallo dorato, con sfumature ambrate, mentre quelli rossi spesso presentano una densità di colore piuttosto marcata, con tonalità che vanno dal rosso rubino al granato, a seconda della maturità .

Non tutti i vitigni sono adatti a produrre vini passiti: si preferisce utilizzare quelli caratterizzati da un alto tasso di acidità e che abbiano dei profumi primari marcati e caratteristici. Esempi sono il Moscato, lo Zibibbo – dal quale si ottiene il famoso passito di Pantelleria – il Brachetto e la Malvasia.

Le tecniche di appassimento del vino

Appassimento on-vine

Questa tecnica sta ad indicare che le uve vengono fatte appassire sulla pianta per un tempo che permette all’acino di perdere circa il 30-40% del proprio peso.

Le uve sottoposte a questo trattamento si definiscono surmature, proprio perché c’è una sovramaturazione dei chicchi. Cosa succede quindi lasciando l’uva a sovramaturare?

La pianta, per sopperire alla perdita d’acqua e all’appassimento, continua nutrire gli acini rifornendoli in particolare di zuccheri, in maggioranza fruttosio. I vini passiti ottenuti con la tecnica di appassimento naturale risultano quindi più dolci al palato proprio per questa ragione.

In particolari zone e in determinate situazioni climatiche, l’appassimento può essere favorito anche dall’intervento della Botrytis Cinerea, la cosiddetta muffa nobile. Essa attacca gli acini riducendo la quantità di acqua al loro interno, concentrando le altre sostanze e donando particolari aromi a questi vini, che vengono chiamati appunto muffati.

Nella tecnica di appassimento naturale rientra anche il vino passito ottenuto con estrazione a freddo, i cosiddetti “ice wines“, tipici dei paesi più freddi. In questo caso si lascia l’uva fino alla prima brinata di stagione: i chicchi geleranno, concentrando al loro interno la poca acqua rimasta e gli zuccheri. Dopo la gelata si procederà subito alla pigiatura.

Appassimento off-vine

Il secondo metodo è quello dell’appassimento dei grappoli su graticci, ma anche stuoie, cassette o appesi. Questo appassimento si chiama off-vine, cioè non avviene sulla vigna.

I chicchi d’uva perdono turgore e acqua, restando esposti al sole e all’aria. Solo alcuni climi consentono di effettuare un appassimento di questo tipo, il passito di Pantelleria è un esempio.

Appassimento forzato

L’appassimento viene invece chiamato forzato quando viene eseguito all’interno dei fruttai, con una ventilazione costante, un passaggio d’aria uniforme tra i grappoli e un’umidità mantenuta artificialmente intorno al 60%.

Questo metodo darà vini passiti meno aromatici rispetto a quelli ottenuti con appassimento naturale al sole, mentre il vantaggio maggiore sarà il tempo di appassimento degli acini, che qui si riduce drasticamente: 10-15 giorni contro i circa 3 mesi dell’appassimento su pianta o all’aperto.

Dall’uva alla bottiglia di vino passito

Completato l’appassimento, l’uva viene pigiata (cioè gli acini vengono schiacciati per far fuoriuscire il succo) e poi diraspata.

La diraspatura serve a eliminare tutti i raspi da quello che poi sarà il mosto, operazione importantissima per un vino di qualità. Dopodiché avviene la fermentazione alcolica.

Data l’alta quantità di zuccheri, la fermentazione, ossia il processo che trasforma gli zuccheri in alcol, avviene molto lentamente e può essere fermato abbassando la temperatura se si vuole ottenere un vino dolce. Terminato questo passaggio si procede quindi all’affinamento e all’imbottigliamento.

Per ottenere un buon vino passito bisogna impiegare molto tempo e attenzione, controllando costantemente l’uva lasciata ad appassire. La quantità che ne risulta è molto ridotta, ecco perché questo vino ha un costo più alto.

I vini passiti più conosciuti in Italia

Dopo aver parlato del vino passito, cos’è e come si fa, è doveroso citare alcuni esempi di vini passiti italiani. Se ne contano in quasi tutte le regioni, la maggior parte sono bianchi ma se ne ottengono di ottimi anche rossi.

Tra i bianchi, uno dei più conosciuti è sicuramente il passito di Pantelleria, prodotto sull’isola siciliana omonima, il quale vanta una tradizione e storia antichissima. Le particolari e difficili condizioni climatiche dell’isola, con siccità e clima secco e ventoso, rendono adatta la coltivazione ad alberello, tipica dell’’isola. Queste viti sono entrate a far parte del Patrimonio dell’Unesco nel 2014.

Il vino passito di Pantelleria viene prodotto da uva zibibbo, un’uva molto dolce e zuccherina, e gli acini vengono lasciati appassire all’aperto beneficiando di sole e dell’aria del mare. Ne risulta un vino dal profumo e sapore incredibili, con una gradazione alcolica intorno ai 14 gradi.

Altri vini passiti molto conosciuti sono il Picolit dei Colli Orientali del Friuli; l’Erbaluce di Caluso Passito, dall’omonimo vitigno piemontese e l’Albana di Romagna, solo per citarne alcuni.

Per quanto riguarda i rossi, tra i passiti dolci molto apprezzato è il Sagrantino di Montefalco Passito, prodotto in Umbria, oppure anche il Recioto della Valpolicella in Veneto .

Come si serve il passito e come abbinarlo

Definito un “vino da meditazione” dall’enologo Luigi Veronelli, il passito viene servito in un piccolo calice dallo stelo lungo, poiché per via della sua alta concentrazione zuccherina bisogna gustarne una modesta quantità per apprezzarlo al meglio.

Si presta bene ad essere sorseggiato leggendo un libro o durante una partita a scacchi, oppure osservando un paesaggio. Il vino passito è indicato per i dessert, si accompagna ottimamente alla pasticceria secca ed è perfetto con crostate di frutta acidula, perché ne esalta il sapore. È ideale anche con i formaggi molto stagionati, la cui sapidità crea un contrasto piacevole al palato e con i formaggi erborinati.

La temperatura indicata per la conservazione e la degustazione del vino passito bianco è di 10-12 gradi; il vino passito rosso si serve invece a 14-16 gradi.

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