Dammi tre parole: Blockchain, Metaverso ed NFT; parole che sono sufficienti per far drizzare le orecchie ad investitori e grandi brand del vino che vivono nella costante paura di lasciarsi sfuggire possibili fonti di guadagno e di perdersi nuovi mercati.

E allora, con il tipo giusto di orecchie, è possibile distinguere nel brusio sommosso di un qualunque bar due professionisti pronunciare parole altisonanti e dal suono rassicurante come blockchain ed NFT.

E perchè non citare la nuova campagna di MetaIl Metaverso può anche essere virtuale, ma l’impatto sarà reale” che ormai affolla social e media tradizionali?

Il mondo enoico, seppure in forte ritardo, con i grandi brand a fare da capofila si è finalmente deciso a cavalcare questa “grande onda” intimorito per la paura di perdere inesplorati mercati piuttosto che attratto dalla volontà di rinnovarsi.

Diamo dunque uno sguardo al concetto di blockchain ed esploriamo insieme possibili applicazioni dela stessa al mondo del vino.

Che cos’è la blockchain?

La blockchain, secondo Wikipedia, è una struttura dati condivisa e immutabile: un registro digitale non modificabile in cui le informazioni sono raggruppate cronologicamente e la cui integrità è garantita dalla condivisione tra i diversi attori.

Possiamo immaginare la blockchain come un diario virtuale la cui proprietà è condivisa tra più persone e che non può essere né sottratto né alterato senza il consenso della maggior parte dei proprietari.

In questo diario non è possibile modificare la storia pregressa senza lasciare una traccia inequivocabile, come a dire non si può usare il bianchetto per correggere un errore, e pertanto eventuali modifiche sono qualificabili come una ulteriore aggiunta a quanto già scritto.

Come è nata la blockchain?

La blockchain è stata inventata nel 2008 da Satoshi Nakamoto (pseudonimo di un autore la cui identità è tuttora sconosciuta) che ne pubblicò il protocollo in una serie di white-paper dal titolo The Cryptography Mailing list sul sito metzdowd.com con l’obiettivo di fungere da registro di tutte le transazioni della nascente criptovaluta Bitcoin.

Per le caratteristiche di immutabilità e per la sua natura condivisa che preserva l’integrità delle transazioni e l’anonimato dei diversi attori, la blockchain è il protocollo ideale per le criptovalute.

Infatti, per via delle proprietà sopra elencate, tramite il protocollo blockchain è possibile effettuare delle transazioni sicure a costo quasi zero.

La possibilità di avere una valuta virtuale trasversale ai diversi mercati in grado di sfuggire al controllo degli istituti di credito e del fisco rese presto Bitcoin la valuta preferita sul Dark Web dove era quotidianamente utilizzata per ogni tipo di acquisto di beni o servizi spesso illegali.

Il costante utilizzo e l’attenzione degli imprenditori fecero per presto lievitare il prezzo del Bitcoin che nel giro di pochi anni passò dal valore di 1$ = 1₿ a quello all-time high di 65.000$ = 1₿. In poche parole se nel 2010 con un Bitcoin si poteva comprare una pizza, dieci anni più tardi allo stesso prezzo si poteva acquistare un’auto di lusso.

Blockchain e vino – Possibili applicazioni

A questo punto la Blockchain è divenuta così popolare che è possibile sentire parlare tuo nonno di investimenti in Criptovalute al bar, esatto Criptovalute al plurale, perchè in seguito alla nascita di Bitcoin in molti hanno deciso di cavalcare l’onda e oggi, secondo il sito cointelegraph, esistono oltre 21.000 diverse criptovalute, quasi tutte fondate sulla Blockchain.

La crescita esponenziale dell’interesse verso le criptovalute e la capacità della blockchain di certificare una “scrittura” in totale sicurezza e di comune accordo tra le parti ha ispirato “imprenditori illuminati” a ricercare nuovi potenziali scopi per la blockchain al di fuori dei mercati finanziari.

Il mondo del vino non si è tirato indietro e, seppur con forte ritardo, ha iniziato a cavalcare questo trend cominciando ad adottare la blockchain come strumento di tracciamento della filiera e anticontraffazione.

Tracciamento della filiera del vino con blockchain

Dunque cosa significa adottare la blockchain per tracciare la filiera di un prodotto?

Significa avere garanzia che tutti i diversi step della filiera siano tracciati e controllati, ma da chi?

“Nuje tenimm na’ domand: Ma chi giudica a chi giudica?

Co’ Sang – Poesia Cruda

Allo stato attuale le aziende che forniscono certificazioni blockchain si limitano ad offrire i servizi di tracciabilità che vengono poi adottati dalle singole aziende per autocertificare i propri prodotti in un fantastico darsi il cinque da soli.

In assenza di un’entità super-partes interessata a tutelare gli interessi del consumatore, la qualità del prodotto e i diversi step della filiera è praticamente impossibile parlare di tracciabilità e certificazione.

Anticontraffazione del vino con blockchain

Sono in procinto di acquistare una bottiglia di Sassicaia 2015 al prezzo di 500€, ma prima di farlo mi piacerebbe essere certo che il vino all’interno della bottiglia sia effettivamente Sassicaia prodotto a Bolgheri dalla Tenuta San Guido nell’annata riportata in etichetta.

Supponiamo che l’azienda in questione (fortunatamente non è questo il caso) adotti una autocertificazione blockchain, come posso, da consumatore, essere certo del prodotto che sto per acquistare?

Una soluzione pratica potrebbe essere inserire un numero seriale che identifichi in maniera univoca la bottiglia e che, se inserito sul sito del produttore, mi consenta di verificare tutti i passaggi produttivi effettuati che attestino che quella bottiglia contenga le uve di una certa vigna, vinificate e affinate in una certa cantina, imbottigliate in un certo magazzino.

Questo numero potrebbe poi essere decodificato con una esperienza utente semplice tramite un QR Code oppure un chip NFC stampato direttamente sulla bottiglia.

Ma sarebbe questa una soluzione sufficientemente robusta da garantire il contenuto della bottiglia che ho davanti?

Una risposta può arrivare guardando le bottiglie vuote di Sassicaia che vengono vendute al prezzo di 10-15€ a bottiglia su Ebay (2-5% del valore di una bottiglia piena!).

Che senso ha rivendere su un secondary market delle bottiglie vuote in buono stato a un prezzo così esorbitante?

Scopro così che le bottiglie dei vini più costosi al mondo, proprio quelli che maggiormente avrebbero bisogno di un sistema anticontraffazione, hanno un mercato secondario fatto di acquirenti intenti a ricolmarle di vino di dubbia provenienza e smistarle.

Basti guardare la storia di Rudy Kurniawan, amabilmente raccontata nel docu-film Sour Grapes.

Insomma, il packaging del vino potrebbe essere reale, ma il contenuto al suo interno adulterato in quanto non è nota la serie di passaggi che la bottiglia segue una volta lasciata l’azienda produttrice.

E dunque a che serve parlare di blockchain?

Le caratteristiche della filiera ideale

Risulta evidente che l’unico modo per garantire una filiera robusta e trasparente è quello di supervisionare e tracciare ogni singolo passaggio dalla pianta al calice.

Ma l’ente incaricato di effettuare supervisione e tracciamento dovrebbe essere super partes per non rischiare di fare interessi diversi da quelli del consumatore finale.

Tale ente dovrebbe essere l’unico e il solo ad avere l’autorità di testimoniare e registrare nel “libro mastro” i diversi passaggi della filiera al fine di ergersi a garanzia di qualità per i consumatori finali.

Esempio di una filiera agricola

Conclusioni

Per ottenere una procedura che garantisca al consumatore finale la qualità, l’integrità e l’autenticità del vino facendo luce con trasparenza sui diversi passaggi della filiera si potrebbe ragionare su una possibile estensione di obiettivi e sfere di ingerenza delle attuali Denominazioni di Origine Protetta e degli organi destinati al controllo, il cui scopo, ad oggi, termina una volta apposto il sigillo di garanzia sulle bottiglie.

Viene da chiedersi, a questo punto, quali vantaggi deriverebbero ad una autorità centrale delegata alla supervisione di questi processi dall’adozione di una tecnologia come quella della blockchain che, invece, fa della decentralizzazione dei dati (ovvero la condivisione) uno dei suoi principi fondanti.

Riteniamo pertanto che la blockchain applicata al mondo del vino debba essere considerata come uno sforzo dispensioso e assolutamente non necessario, una moda passeggera per attrarre fondi e investimenti incauti.

Ricordiamo, infatti che il costo necessario per costruire e manutenere nel tempo una base dati decentralizzata risulta decisamente maggiore di una centralizzata.

Del resto, come testimoniato dalla curva delle aspettative stilata da Gartner, la blockchain, insieme agli NFT sarebbe già sulla spalla discendente della gaussiana e destinata verso il declino della disillusione.

Allora facciamoci un favore e smettiamo di piegare la funzione alla forma e sforziamoci di ragionare su principi e condivsione di obiettivi piuttosto che su futili mezzi per arricchire le società di tecnologia.

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