Recensione del Chianti Classico 2020 di Brancaia
Che la Toscana sia la patria indiscussa del Sangiovese questo è più che palese: per quanto questo vitigno sia praticamente presente in tutta Italia, e in certe regioni riesca a ritagliarsi anche delle identità forti e credibili, è in Toscana che raggiunge livelli di eccellenza inarrivabili.
Tra questi è nel Chianti Classico che si sublima una delle sue massime espressioni: la recente classificazione zonale ha permesso poi di rilanciare il territorio in maniera più forte e coerente, mettendo così le premesse per colmare, in tempi ragionevoli, il gap con altri blasonati distretti viticoli dello stivale.
Ora sta agli interpreti valorizzare e far leva su questo patrimonio: un ruolo significativo sicuramente verrà ricoperto da Brancaia, come testimoniato dal Chianti Classico 2020, una delle rivelazioni dell’edizione di Chianti Classico Untold.
Indice
Brancaia: l’azienda
Le più storiche realtà produttive del Chianti Classico sono praticamente secolari, quindi pensare che l’azienda Brancaia abbia origine nel 1981 può dare l’idea di una storia relativamente recente; ma a pensarci bene, oltre 40 anni di vita nel mondo del vino italiano rappresentano un traguardo di valore assoluto, in cui il lavoro quotidiano è ormai passato nelle mani della seconda generazione e la terza già inizia a fare capolino tra filari, botti e bottiglie.
Bruno e Brigitte Widmer acquistano la tenuta abbandonata di Brancaia e partono praticamente da zero: si innamorano del Colle Brancaia a Castellina in seguito ad una visita in Chianti durante il Natale del 1980 e decidono di rilevarla dal precedente proprietario per farne una casa vacanze.
Tuttavia le potenzialità dei quattro ettari di vigneto (dei 20 complessivi che vanta la tenuta) spingono naturalmente la famiglia Widmer verso la produzione di vino di qualità, supportati dalla Famiglia Mazzei.
I riscontri sono immediati, così come i premi in concorsi di prestigio; nel 1989 arriva l’acquisizione di una proprietà di 53 ettari nel sito di Poppi a Radda che andrà ad integrare la possibilità di offerta dell’azienda.
Nel 1998 l’azienda si affaccia sul mare, acquisendo 89 ettari in Maremma, per consolidare ulteriormente la possibilità di aprirsi verso l’idea viticola dei Supertuscans, senza mai perdere di vista l’identità forte e tipica dell’anima chiantigiana.
Oggi a guidare la cantina sono i figli di Bruno e Brigitte: Barbara, sul lato enologico, Andreas, per comunicazione e marketing e Michael per questioni finanziarie e legali. Sono coadiuvati da un valido team di 35/40 persone, tra cui i figlia di Barbara ed Andreas.
I riscontri di critica e pubblico, gli innumerevoli premi conseguiti negli anni, i continui investimenti oltre ad una attenzione maniacale per la sostenibilità ecologica fanno oggi di Brancaia uno dei punti di riferimento del panorama viticolo toscano ed italiano.
Produzione ed Affinamento
Il Chianti Classico annata (no il Riserva, no la Gran Selezione) rappresenta il modo in cui il Sangiovese chiantigiano riesce ad esprimersi in maniera più diretta, schietta e sincera.
E infatti la vinificazione qui avviene cercando di esaltare al massimo il frutto, lavorando con macerazioni piuttosto brevi (13 giorni), maturazioni in acciaio e cemento, per beneficiare poi di pochi mesi di bottiglia prima di arrivare in commercio. E’ l’unico rosso aziendale a non vedere affatto il legno.
I vigneti si trovano tra Castellina (con terreni più densi ed argillosi) e Radda (di medio impasto e ricchi di scheletro) con altitudini comprese tra i 230 e i 400 mslm. La vendemmia copre un arco temporale pari a circa l’intero mese di settembre, data la differenza climatica delle due zone, con Radda decisamente più fredda e tardiva. La sinergia fra i due terroir, le vinificazioni separate e poi l’assemblaggio permette di dare contemporaneamente leggerezza e profondità al sorso.
La Degustazione
Grande luminosità e franchezza nell’aspetto visivo, di un rosso rubino scarico e trasparente, una materia colorante di buona brillantezza e sufficiente agilità. Nella media l’aderenza alle pareti del calice.
Il naso è pulito, diretto, espressivo senza concedere impressioni di sovrastrutture aromatiche chiuse e pesanti. L’apertura è di fiori freschi e frutta rossa piccola e appena matura.
La viola, il glicine, l’iris aprono la strada alla trama fruttata che tende a stemperarsi su tocchi speziati appena accennati di pepe bianco e noce moscata.
E’ un palato croccante e disinvolto quello che si schiude al primo sorso, in cui le caratteristiche di durezza dominano nettamente la scena, regalando impressioni di snellezza e tonicità che sostengono un sorso agile, affatto impegnativo, ma che non viene mortificato in termini di lunghezza aromatica.
Acidità e tannino, pur di una verve di estrema giovinezza, che gradirebbe ancora qualche mese di bottiglia per esprimersi in maniera più compiuta, tendono a sciogliersi progressivamente in sapore e lunghezza gustativa, con rimandi di piccola frutta rossa che continua a tornare nitida a fine sorso.
Appena percettibile, in prima battuta, sia il saldo alcolico che quello sapido, mascherati in attacco bocca dal grip acido, ma sul finale prendono decisamente più piede, chiudendo il cerchio del sorso.
Vino che nella sua immediatezza e franca leggibilità sfodera le sue armi migliori, avendo ancora un certo margine di manifestare una complessità gustativa/aromatica in divenire.
Godibile ora per la disarmante schiettezza, da aspettare altri 2 o 3 anni per apprezzarlo al suo meglio.
Abbinamenti
Gioca una partita vincente su tavole poco impegnative, con taglieri di salumi e formaggi poco stagionate, paste con sughi semplici, carni alla griglia.
Quello che non è ancora stato detto del vino
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