Contessa Entellina è un piccolo comune di soli 1500 abitanti posto a circa 80 km a sud di Palermo. L’areale circostante il comune Contessa Entellina, particolarmente vocato per la produzione di vini rossi e bianchi, ha ottenuto il riconoscimento a DOC nel 1993.

Il Contessa Entellina DOC può essere prodotto a partire da 7 diversi vitigni:

  • Cabernet Sauvignon, Merlot e Pinot Nero per i rossi
  • Chardonnay, Grecanico, Sauvignon, Inzolia per i bianchi

Oggi ho avuto la fortuna di assaggiare lo Chardonnay in purezza “Chiarandà” 2018 di una delle aziende più iconiche della Sicilia che abbiamo già avuto modo di approfondire in passato recensendo “Sul Vulcano” e “La bella Sedara“.

Sto Chiaramente parlando di Donnafugata, azienda il cui nome è fortemente intrecciato con quello del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Infatti Donnafugata, come narrato dall’autore vuol dire letteralmente “Donna in Fuga” e si riferisce alla storia di una regina che trovò rifugio dove oggi si trovano i vigneti aziendali in Sicilia.

Donnafugata – La tenuta di Contessa Entellina

L’azienda è figlia di Giacomo Rallo che fondò Donnafugata nel 1983 insieme alla moglie Gabriella, pioniera della viticoltura in Sicilia ed è oggi guidata dai figli José e Antonio.

La tenuta di Contessa Entellina è sita fra i 200 e i 500 m s.l.m. Il clima è mediterraneo, con piogge concentrate in autunno e inverno, estati asciutte e ventilate, contraddistinte da forti escursioni termiche giorno/notte.
Nella cantina  vengono vinificate le uve ottenute dai 302 ettari aziendali, che sono suddivisi in 8 contrade ed il cru “Vigna di Gabri”.

Recensione del Chiarandà 2018 di Donnafugata

L’etichetta

Se è vero che l’assaggio inizia ben prima di stappare la bottiglia non si può recensire un vino di Donnafugata senza soffermarsi sulle illustrazioni che hanno rese iconiche le sue bottiglie.

Come in molte etichette di Donnafugata, la protagonista è una donna, in questo caso posta sul piedistallo e che sembra meditare scatenando intorno a sè un’aura di forme geometriche ed icone naturalistiche: girandole, fichi d’india e grappoli d’uva. 

Affinamento

Il Chiarandà affina per 8 mesi sulle fecce: parte in rovere (65%, barrique di primo e secondo passaggio) e parte in piccole vasche di cemento (35%); infine riposa in bottiglia per circa 14 mesi.

Degustazione

All’esame visivo il Chiarandà si presenta di un invitante colore giallo paglierino molto carico, tendente al dorato quasi opaco.

All’olfatto esplode in un tripudio di spezie dolci e frutta tropicale: si insinua prepotente nei canali olfattivi con un suadente aroma di cannella e si diffonde lungo tutta la cavità orale accompagnandosi con sentori di ananas e mango maturi.

Mi chiedo se sarà in grado di conservare questi aromi sorprendenti durante l’esame gustativo e con mia sorpresa resta coerente nella la transizione olfatto-gusto.

Al gusto scivola lungo il palato con lentezza e intensità: si presenta robusto, burroso, dolcemente minerale, pieno, avvolgente e lascivo.

Abbinamento

Lo abbino a un piatto di paccheri con gamberi rossi e burrata, e il vino regge il confronto a meraviglia e ad alcuni bocconi sembra quasi avere la meglio.

La verità è che questo vino per le sue caratteristiche sembra quasi un vino da meditazione, che sarebbe gustato al meglio abbinato soltanto a una piacevole conversazione.

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