Diciamoci la verità: a chi non piacciono le bollicine? Beh, forse per qualcuno gli spumanti non occupano il podio della classifica delle preferenze personali in fatto di vino. Ma a quanti è capitato davvero di tirarsi indietro di fronte a un calice scintillante e spumoso sollevato in segno di auguri anche solo durante il brindisi di Capodanno?
È innegabile che i vini spumanti, nel nostro comune immaginario, sono questo: i protagonisti indiscussi di feste, ricorrenze, compleanni e spesso diventano anche regali preziosi quando si vuole fare bella figura. Sono vini speciali, riservati alle occasioni speciali, vini che appartengono a una sorta di ritualità della celebrazione e dell’omaggio.
E, come scriveva qualcuno, “forse non tutti sanno che” i vini spumanti occupano, nel variegato mondo del vino, quasi a rimarcare la loro unicità, un posto tutto particolare e di valore.
Questo per le loro peculiari caratteristiche, i diversi metodi produttivi con cui si realizzano e i luoghi del mondo che hanno segnato la loro gloriosa storia e che ancora oggi rappresentano vere e proprie punte di diamante nel panorama vitivinicolo mondiale.
Ma vediamo di capire più da vicino come si producono i vini spumanti.
Quali sono i metodi con cui si producono i vini spumanti?
Procediamo per ordine e partiamo dalle basi, analizzando quali sono i diversi “metodi” con cui si producono gli spumanti. Due sono quelli principali disciplinati e ormai, potremmo dire, canonizzati, più un terzo, in verità il più antico, realizzato ancora oggi da moltissimi produttori. Vediamo nel dettaglio come funzionano e quali sono le differenze produttive che li contraddistinguono.
Metodo Champenoise o Metodo Classico
In Italia chiamiamo Metodo Classico quello che in Francia, luogo a cui appartengono le origini della spumantizzazione, chiamano Méthode Champenoise, espressione che rimanda direttamente alla regione in cui tutto ebbe inizio, la Champagne: la leggenda vuole che il monaco dell’Abbazia di Hautvillers, Pierre Pérignon, noto ai più come Dom Pérignon, sia stato l’artefice di tale metodo.
Si tratta di un processo di lavorazione molto particolare che prevede due fermentazioni, di cui la prima serve a creare il cosiddetto vino base e la seconda, la rifermentazione, consente al vino base di sviluppare le bollicine. La particolarità di questa seconda fermentazione, che è figlia di una sofisticata competenza tecnica acquisita nel corso dei decenni, risiede nel luogo in cui questa avviene, cioè la bottiglia. Il Metodo Classico – o Metodo Champenoise – è un processo di produzione di vini spumanti che prevede la rifermentazione in bottiglia.
Fasi di lavorazione del Metodo Classico
Vediamo nello specifico quali sono i passaggi con cui si producono spumanti metodo classico.
Vino base e assemblaggio
Prima di tutto occorre un vino base: per realizzarlo, dopo la vendemmia spesso di vitigni diversi – in Champagne si usano Pinot Noir, Pinot Meunier e Chardonnay, in Italia, nelle diverse zone spumantistiche troviamo Pinot Noir, Chardonnay e Pinot Bianco – si procede alla fermentazione separata dei mosti e, successivamente, si passa a una fase tanto delicata quanto fondamentale per l’effetto finale, ossia l’assemblaggio.
Si tratta del momento in cui si mescolano insieme vini diversi di annate differenti, ma non solo. La tecnica produttiva tradizionale dei vini spumanti vuole che la cosiddetta base spumante sia caratterizzata dall’unione, assemblaggio appunto, di tante annate diverse e per questa ragione spesso gli spumanti non riportano in etichetta l’annata della vendemmia. In questo modo si crea la cuvée, che, nello specifico, in base alle diverse scelte produttive, può essere:
- sans année, assemblaggio di vini di diverse annate;
- millésime (che chiamiamo millesimato), uve provenienti da un’unica annata indicata in etichetta;
- blanc de blancs, se il vino prevede l’uso di sole uve a bacca bianca;
- blanc de noirs, se sono presenti solo uve a bacca nera.
Presa di spuma
Si passa poi all’imbottigliamento che prevede:
- l’aggiunta del liqueur de tirage, una miscela di zuccheri, lieviti, sali minerali – ciascuna casa spumantistica ha la sua ricetta segreta – necessaria alla presa di spuma, cioè alla seconda fermentazione che permette la formazione e l’imprigionamento nella bottiglia dell’anidride carbonica;
- al riposo del vino sui lieviti per un periodo più o meno lungo in base alle caratteristiche organolettiche che si vogliono ottenere e ai diversi disciplinari di produzione: più la sosta sui lieviti esausti, in autolisi, cioè in una lenta fase di auto-degradamento che libera molecole che interagiscono con il vino, sarà lunga più sarà complesso il corredo gusto-olfattivo che acquisirà lo spumante.
Remuage
Finita la sosta sui lieviti, si procede al remuage, cioè a quel lento e progressivo spostamento delle bottiglie dalla posizione orizzontale di riposo alla posizione verticale: questa operazione può essere effettuata manualmente sulle pupitres o meccanicamente con le gyropalette. In questo modo tutti i residui della seconda fermentazione si concentrano verso il collo della bottiglia andandosi a depositare nella bidule, un piccolo tappo che sarà successivamente eliminato con il dégorgement o sboccatura.
Sboccatura
Occorre fare una precisazione in merito a questa procedura, nel senso che è possibile effettuare la sboccatura in due modi: sboccatura meccanica (o à la glace, al ghiaccio) o sboccatura manuale (o à la volèe, al volo).
La prima prevede il congelamento meccanico del collo della bottiglia (di tante bottiglie insieme) a circa -27 °C, in questo modo i sedimenti possono essere facilmente estratti rimuovendo, grazie alla pressione interna, il blocchetto di ghiaccio che si forma nella bidule.
La seconda viene praticata ormai di rado, nelle piccole cantine o per cuvèe di particolare pregio: è una sboccatura effettuata manualmente, una bottiglia alla volta, da mani esperte e veloci che eliminano il tappo a corona con la bidule consentendo l’espulsione dei residui in tempi rapidissimi, sfruttando la pressione che spinge verso l’esterno, e con estrema abilità (gli esperti sono anche in grado di sboccare 400 bottiglie all’ora).
Dosaggio e tappatura
Dato che con la sboccatura, a causa della pressione interna dell’anidride carbonica, si perde anche un po’ di liquido, è necessario intervenire con un piccolo rabbocco, la liqueur d’expedition, la cui ricetta è assolutamente segreta e determina il grado zuccherino finale dello spumante.
Se non si aggiunge nulla, sull’etichetta del vino ci saranno diciture come Dosage zero, Pas Dosé, Nature; altrimenti, in base alla quantità di zucchero presente nella bottiglia (in grammi per litro), il dosaggio si stabilisce in questo modo:
- Extra Brut tra 3 e 6 gr/l;
- Brut tra 6 e 12 gr/l;
- Extra-Dry tra 12 e 17 gr/;
- Dry tra 17 e 32 gr/l;
- Demi-Sec tra 32 e 50 gr/l;
- Doux oltre 50 gr/l.
Infine avviene la tappatura con il tradizionale tappo a fungo e la gabbietta a garantire che il tappo non scappi via. La pressione contenuta in una bottiglia di spumante è almeno di 3,5 atmosfere, più di quella di uno pneumatico, quindi fate sempre molta attenzione quando aprite una bottiglia!
Metodo Martinotti o Charmat
Se il Metodo Classico è un’invenzione tutta francese, il Metodo Martinotti è un’innovazione tutta italiana. Questo nuovo metodo di produzione di vini spumanti fu ideato da Federico Martinotti sul finire dell’800, e successivamente fu perfezionato da Eugéne Charmat. Da questo doppio contributo deriva appunto il doppio nome Metodo Charmat-Martinotti.
Se nel Metodo Classico la rifermentazione, e quindi la formazione di anidride carbonica, si compie in bottiglia, con il Metodo Martinotti la “spumantizzazione”, in senso stretto, avviene con una rifermentazione in autoclave, cioè in contenitori di acciaio inox: questa è la differenza sostanziale e caratterizzante dei due metodi di lavorazione.
Si tratta di un metodo di lavorazione più semplice e più veloce con cui si producono spumanti: non si ha necessità di realizzare una cuvée di partenza, quindi il vino base è il vino prodotto dalla vendemmia dell’anno (questo vuol dire che sull’etichetta sarà presente l’indicazione dell’annata), la sosta in autoclave, diversamente da quanto succede in bottiglia, non dura molto tempo – può variare, in base alle scelte produttive, da tre a sei mesi, in linea di massima – e una volta terminata la rifermentazione in autoclave, il vino spumante è pronto per ricevere il dosaggio zuccherino. Questo è un passaggio comune ai due metodi – prima di essere imbottigliato e tappato, anche in questo caso con il classico tappo di sughero a fungo e gabbietta.
È chiaro che si tratta di un sistema produttivo molto più rapido e certamente più economico, ma è anche vero che dà vita a spumanti con caratteristiche e anche costi al consumatore molto diversi, non per questo da tenere in minor considerazione.
Charmat corto o Charmat lungo?
In base a esigenze commerciali o produttive, chi realizza vini spumanti Metodo Charmat ha due possibilità in termini di “presa di spuma” in autoclave.
Si può decidere di lasciare il vino in sosta per un periodo breve, tra i 30 e gli 80 giorni, Charmat corto, in modo da avere la possibilità di arrivare al prodotto finito in tempi piuttosto rapidi e, soprattutto, conservare le caratteristiche dei vitigni aromatici che si usano per questo tipo di spumantizzazione che altrimenti, con tempi di presa di spuma più lunghi, verrebbero irrimediabilmente perse.
In alternativa, se si vuole realizzare uno spumante con maggiore complessità olfattiva e un perlage più fine, si ricorre a uno Charmat lungo, che prevede una sosta dai 9 ai 15 mesi in autoclavi particolari, dotate internamente di agitatori ad elica che consentono di rimettere in sospensione i residui della rifermentazione che arricchiscono il corredo gusto-olfattivo del vino.
Quali sono le zone storiche in cui si producono spumanti?
Sebbene nel mondo enoico contemporaneo moltissime cantine di ogni parte del mondo si sono dedicate alla produzione di almeno un’etichetta di spumante da aggiungere alla loro offerta commerciale, è innegabile che esistano delle zone di produzione a vocazione spumantistica, cioè zone in cui la produzione degli spumanti fa parte della storia enologica, sociale e antropologica propria di quei luoghi e non di altri.
Il primo nome fra tutti è senza dubbio Champagne: qui sono nate le bollicine, al netto delle leggende, degli aneddoti, delle contese dei vari primati, la regione dello Champagne è, e resta, la capostipite nella storia della produzione di vini spumanti rifermentati in bottiglia.
In Italia sono principalmente tre le zone vitivinicole in cui storicamente si producono vini spumanti metodo classico: il Trento Doc, la Franciacorta e l’Oltrepò Pavese. A queste si aggiunge tutta la zona di produzione del Prosecco, che è senza dubbio il più famoso spumante del mondo realizzato con Metodo Martinotti.
Qual è la differenza tra vino spumante e vino frizzante?
In molti si fanno questa domanda e, in effetti, la risposta non è così scontata o intuibile: tutto dipende dalla pressione presente all’interno della bottiglia e dalla norma che indica quali sono le differenze.
È il regolamento CE 491/2009 che definisce il vino frizzante come “il prodotto ottenuto da vino che presenta un titolo alcolometrico totale non inferiore a 9% vol., avente un titolo alcolometrico effettivo non inferiore a 7% vol., che, conservato alla temperatura di 20 °C in recipienti chiusi, presenta una sovrappressione, dovuta all’anidride carbonica endogena in soluzione, non inferiore a 1 bar e non superiore a 2,5 bar”.
Il vino spumante è invece “il prodotto ottenuto dalla prima o dalla seconda fermentazione alcolica di uve fresche, di mosto di uve, o di vino, caratterizzato alla stappatura del recipiente da uno sviluppo di anidride carbonica proveniente esclusivamente dalla fermentazione e che, conservato a 20° in recipienti chiusi, presenta una sovrapressione non inferiore a 3 bar dovuta all’anidride carbonica”.
Quindi il vino frizzante ha una pressione più bassa, di massimo 2,5 bar, rispetto al vino spumante, che arriva anche a 6-8 bar, e questa differenza ovviamente determina anche una diversità nelle caratteristiche delle bollicine stesse, meno persistenti e meno “aggraziate” nei vini frizzanti, più incisive, eleganti e durevoli negli spumanti.
Metodo Ancestrale
Se siete frequentatori di enoteche e winebar, avrete sicuramente sentito parlare dei vini Metodo Ancestrale, forse ne avete anche bevuto qualcuno. Ma di che cosa si tratta esattamente?
La parola “ancestrale” è senza dubbio molto evocativa e rimanda, immediatamente, a qualcosa di lontano nel tempo e nello spazio. Per quanto riguarda le questioni “enoiche”, questo termine fa riferimento al metodo più antico che conosciamo con cui si producono vini spumanti. Pare, infatti, che già nel ‘500 in Francia si facesse uso di questa tecnica, in modo chiaramente empirico, senza competenze scientifiche.
Si tratta di un sistema, non normato per ora, con cui si producono gli spumanti tramite rifermentazione in bottiglia, ma in un modo diverso rispetto a quanto abbiamo prima detto per il Metodo Classico.
Molta meno tecnica, molta meno tecnologia, ma non per questo meno qualità nel prodotto finale.
Come si producono gli spumanti Metodo Ancestrale?
Per realizzare uno spumante Metodo Ancestrale basta raccogliere l’uva, pigiarla e far partire la fermentazione con i lieviti indigeni, quelli che si trovano naturalmente sulla buccia degli acini. A un certo punto, mentre la fermentazione è in atto, si abbassa la temperatura per inibire l’azione dei lieviti. A questo punto parte degli zuccheri è stata fermentata, ma parte è ancora presente nel mosto.
Si procede, quindi, all’imbottigliamento, trasferendo il mosto parzialmente fermentato in bottiglia, si tappa con il classico tappo a corona e si aumenta la temperatura per permette ai lieviti di riprendere la loro attività e terminare così la fermentazione, che genererà anidride carbonica e quindi bollicine direttamente in bottiglia.
Tutto molto più semplice: una sola fermentazione, interrotta e poi completata, nessuna aggiunta di lieviti o zuccheri, sosta sui lieviti fino all’apertura, uso esclusivo di tappo a corona fino all’arrivo della bottiglia al tavolo.
Nella maggior parte dei casi il vino prodotto con Metodo Ancestrale rientra nella categoria dei vini spumanti.
Conclusioni
Insomma, se siete amanti delle bollicine, da oggi avrete solo l’imbarazzo della scelta, perché le possibilità per conoscere e approfondire il mondo degli spumanti sono davvero le più diverse.
Se cercate vini spumanti caratterizzati da aromi floreali più marcati, potete scegliere uno Charmat corto, se invece volete maggiore complessità aromatica e maggiore finezza di bolla, potete optare per uno Charmat lungo.
Per il Metodo Classico le combinazioni sono davvero moltissime, tra dosaggi, cuvèe, uvaggi, e sosta sui lieviti – dai 15, 24, 30 mesi fino anche a dieci anni – ogni bottiglia regalerà corredi gusto-olfattivi molto diversi: più semplici, ma mai banali, per i vini meno elaborati; più complessi, articolati, per gli spumanti che prima di arrivare nel calice hanno vissuto una lunga e “arricchente” vita in bottiglia.